martedì 1 settembre 2015

Joseph impara a camminare

Joseph ha 34 anni, Joseph non può parlare, non può muovere le gambe e le braccia, alla nascita aveva il cordone intorno al collo, per qualche minuto di troppo non è arrivato il sangue al cervello. Così Joseph è divenuto un bellissimo bambino cerebroleso, ma è stato tanto amato da sua madre sin dall'istante del suo concepimento che questa non ha mai avvertito la sua diversità. La mamma, quando ha saputo la notizia, ha subito pensato "io parlerò al suo cuore, il cuore non ha bisogno di gambe, di braccia e neanche di parole, il cuore ha una sua voce e sono certa che lui l'ascolterà". Così trentaquattro anni fa Joseph è venuto al mondo, con i suoi occhi colore del cielo e la pelle color latte. Quando Joseph era piccolo sorrideva sempre, non si sentiva diverso dagli altri, comunicava con i suoi occhi e questo bastava, era circondato da persone che gli volevano bene. A quindici anni Joseph ha perso la sua mamma. Il mondo gli è crollato addosso, solo in quel momento Joseph si è accorto che la sua mamma era la sua voce, le sue gambe e le sue braccia, ed è stato allora che Joseph ha avvertito tutto il peso della sua inabilità. Joseph smise di mangiare, la vita aveva perso il suo interesse, era sempre con il capo poggiato da un lato della sua sedia a rotelle e ogni giorno che passava, si rinchiudeva sempre più nella sua infermità. Allora sì che fu paralitico davvero, il suo cervello cominciò a impigrirsi e i suoi arti a irrigidirsi. A diciannove anni Joseph ebbe una grave crisi, fu ricoverato d'urgenza in ospedale ed entrò in uno stato comatoso. In quello stato vide sua madre, lei era bella e sorridente, gli porse una mano e con quella mano lo alzò dalla sua sedia e Joseph si accorse che poteva camminare. Allora si svegliò e con immenso dolore, che non era solo un dolore del suo corpo e si ritrovò in tutta la sua infermità. Joseph si riprese e tornò a casa, ma tutto era cambiato: il suo modo di sentire e di vedere le cose. Joseph si sentiva vivo e desiderava esserlo, inondato delle meravigliose sensazioni che si succedevano nella sua giornata. Joseph imparò a scrivere al computer con il movimento dei bulbi oculari e cominciò a trasferire sul foglio tutte quelle meravigliose emozioni che il mondo gli regalava. Joseph era diventato uomo, lui che era stato bambino sempre, a diciannove anni aveva scelto la vita! A trent'anni Joseph scrisse il suo primo romanzo che dedicò alla madre con questa iscrizione: "A mia madre, che mi ha donato la vita, e poi un cuore, alla donna che mi ha lasciato osservare il mondo con i suoi occhi, mi ha prestato la voce e le gambe e le braccia per entrare in relazione con l'umanità, alla persona più pura e bella e speciale che mi ha guardato sin dal primo istante con gli occhi del cuore. Ringrazio Dio per avermi fatto questo dono, ma lo ringrazio anche per avermelo tolto, perché è solo allora che ho scoperto tutto il bene che Dio ha posto in quella donna, solo allora ho compreso che tutto l'amore che da lei ho ricevuto, non mi apparteneva, e che era arrivato il momento di ridonarlo al cielo. E' stato allora che ho scoperto di avere un cuore, e una voce e delle gambe e delle braccia, e soprattutto ho scoperto che in me c'era tutto quello che mi serviva per essere in vita ed è strano da dirsi da uno come me, ma è stato allora che ho imparato a camminare".

venerdì 21 agosto 2015

Dedicato a Violeta Parra

Quel giorno faceva molto caldo, il giorno in cui Violeta aveva deciso di rappresentare il suo cuore. Quel giorno Violeta riordinò il suo teatro e vi fece entrare tutta la luce possibile, era un giorno importante, quello in cui doveva cantare tutto quanto aveva amato, quel tanto che la inondava ogni giorno, che le abbagliava la vista del quotidiano, che la spingeva alla ricerca di nuove strade, quelle strade dal profumo di Paradiso. Violeta vide dinanzi a sè tutti i suoi amici, i suoi famigliari, tutte le persone amate e intonò "Gracias a la vida"! Chiuse gli occhi e mise tutta la sua passione, pensò all'unico uomo che aveva amato a cui aveva dato tutta se stessa: il suo presente, il suo passato, i suoi progetti per il futuro. Pensò ai suoi figli, ricordò le sue opere, la sua infanzia fra i campi. Tutta si diede in quell'attimo di gioia e gratitudine, cantò con l'anima e con il corpo e in quella fusione le parve di vedere il creato con tutte le sue creature e di poterle tutte contenere nel suo cuore. Aprì gli occhi, lì, nel suo palco, che era la sua casa, ma non c'era nessuno. Il suo cuore colmo si chiese dove fosse l'amore della sua vita, dove i suoi amici, i suoi estimatori? Pensò alla sua terra e alla sua infanzia così sofferta e il suo piccolo cuore si strinse in una morsa che parve soffocarla. Chi avrebbe accolto tanta vita? Chi avrebbe ascoltato le sue belle parole? Credette che quel momento fosse eterno, fosse vero, fosse sempre, fosse l'ultimo e in quell'istante raccolse tutta la solitudine della sua vita e non vide che quella, troppo per il suo grande e fragile cuore. Così Violeta disse addio alla vita, la vita che lei aveva amato con tutto il suo cuore, ma dalla quale si sentì tradita. E la vita non le ha resistito e l'ha accolta nel suo grembo senza mai più restituirla al mondo.

domenica 26 luglio 2015

Le parole dell'Amore

Leo era molto triste, molto solo, tutti lo avevano allontanato da quando, in un incidente, il suo volto era stato sfigurato dalle fiamme. Leo desiderava morire, non amava più la vita, immaginava che la terra si aprisse per poterci sprofondare, senza essere ricordato da nessuno, voleva diluirsi nell'aria, dissolversi nel vento. Preso dalla disperazione decise ad aprire un libro, a caso, in una biblioteca di periferia, pregando il buon Dio di dargli un segno, qualcosa che riaccendesse nel suo cuore la speranza, e così fu. Alla pag. 100 di un tal libro Leo lesse queste parole: "C'è stato un giorno, tanto tempo fa, ch'io mi provai a ricomporre la mia immagine, e tutti insieme misi i pezzi del puzzle della mia esistenza, quando, all'ultimo frangente, s'accese un fuoco che percorreva i confini delle tante storie della mia vita e bruciava sì forte da accendere nel petto un dolore insopportabile. Io mi piegai e chiesi perdono a Dio, se l'immagine che mi ero provato a costruire, che tanto somigliava alla sua, non poteva stare insieme perchè la lava del dolore scorreva veloce nelle fessure del mio cuore. Aspettai qualche minuto, ma il dolore non cessava, e qualche ora, ma non potei che distruggere quell'immagine sì bella e pura e viva. Dinanzi agli occhi vidi le ingiustizie e il male, il disinteresse e l'odio, che tutte insieme invasero l'orizzonte, fino a renderlo uniforme, e non si scorgeva il bene e le carezze e l'Amore ed in tal guisa l'una parte si frammentava e l'altra si proteggeva e l'immagine si serbava, almeno nel ricordo. Poi incontrai Te, mio Creatore, che portasti la mia mano al tuo cuore e da quel dì seppi, che di un gesto così vile, tu, mi avevi perdonato. Niente mi ha ridato un'immagine sì nitida, nè il mio cuore è stato più capace di donarsi come allora, la creatura che ero non lo sono più, la vita, le persone, i luoghi, non hanno più lo stesso sapore. Una sola certezza, da quel dì, hai preso a scorrere nelle piaghe del mio cuore, e quando incontro il dolore, incontro anche te, con il tuo sorriso e la tua infinita dolcezza, ora non ho più paura”. Leo richiuse il libro e comprese che non c'era strada tanto nera, dalla quale non si può risorgere, che ogni inciampo lascia il suo segno, che ogni segno si può solo risanare, ma ogni solco diventa trama, e questa diviene storia. Leo ebbe finalmente il coraggio di guardarsi allo specchio e quello che vide lo spaventò, ma piano piano, prese confidenza con la sua immagine, e imparò ad amarsi. Pensò che in ogni solco inciso dal fuoco c'era un pezzo della sua storia e tutto insieme disegnava la mappa della sua vita. Ad ogni piaga diede un nome per non dimenticare. Fu allora che Leo conobbe Lara, la donna che ebbe il coraggio di amare Leo in tutto il suo essere, in tutta la sua storia che egli portava scritta in viso, anzi, a causa di tutta la sua storia, teneva sempre a precisare la sua amata. Che insolito percorso aveva scelto il destino per insegnare a Leo le parole dell’Amore, un destino che lo aveva spinto fino al limite della sopportazione, limite che per qualcuno significa “fine”, ma che per Leo era stato solo un inizio.

domenica 14 giugno 2015

Gli occhi di Luca

Appena nato, Luca, aveva i suoi occhioni blu spalancati sul mondo, e sembrava volerlo comprendere tutto quell'universo di colori, profumi e melodie. Ogni giorno una nuova scoperta, in ogni momento, come in uno scrigno, Luca cercava i bagliori della vita. Chiudeva gli occhi per riposare e i sogni gli suggerivano nuove storie ed ogni volta era felice di abbandonarsi fra le braccia di Morfeo, almeno quanto era felice di risvegliarsi. Sorrideva sempre Luca, a tutti, indistintamente, e con i suoi grandi occhi diceva una sola parola:"Amore!". Tutti erano contagiati dalla sua gioia, persino le piante si rianimavano e le pietre risplendevano come diamanti in sua presenza. La terra era lieta di aver accolto fra le sue braccia un'anima così pura e vitale da non sembrare passibile di corruzione, ben sapendo che tutto ciò che è non può non cessare di essere, pur portando in sè il riflesso dell'eternità. Così, dopo non troppo tempo, Luca divenne un angelo e volò in cielo per tornare al suo Creatore, nel sonno, senza quasi accorgersi del passaggio; in realtà la sua anima candida sembrava non aver mai lasciato il cielo! Quel giorno in cui la terra si accorse della sua dipartita, ogni uomo, ogni animale, ogni pianta e persino le pietre sembravano aver perso il senso della loro esistenza e il buio fu nei loro cuori. Luca aveva portato con sè i sorrisi di ogni essere vivente e la Terra tutta stava per essere inghiottita dal suo stesso dolore. Ma la Natura vive sempre e comunque, contro il suo stesso volere, la sua rabbia e le sue intemperie. Dopo giorni di grida di dolore, di lacrime versate fino a inondarla, di tempeste e burrasche, il creato tutto si pacò. Non un suono, non un rumore, il silenzio piombò in ogni cuore e in quella quiete l'umanità ritrovò se stessa e benedisse mille volte il Creatore per avergli mandato un'anima pura e bella come quella di Luca.

giovedì 21 maggio 2015

Il bosco di Giulia

Tanto tempo fa, la piccola Giulia, si allontanò dalla sua famiglia, mentre sostanva nei pressi di un lago per una scampagnata. La sua curiosità la spinse a inseguire il canto degli uccelli, il fruscio delle foglie sotto i suoi piedi, il mormorio degli alberi mossi dal vento. Le meravigliose forme che serpeggiavano fra luci e ombre nel bosco di faggi secolari, la spingevano sempre più lontano. Il tempo aveva cessato di scandire i miunuti nella sua mente, ella si sentiva parte del tutto e non avrebbe rinunciato a quella sensazione neanche cedendo ai morsi della fame e al richiamo dei suoi genitori. Volteggiava tra i cespugli alla ricerca di qualche impavido animale, col quale avrebbe potuto stringere amicizia. Non si accorse che la sera aveva reso i suoi passi incerti su un suolo non più visibile alla luce del tramonto, e, ignara dell'oscurità che nei boschi anticipa i suoi tempi a causa delle alte fronde degli alberi, si ritrovò sola e al buio, tra i versi degli animali, non più tanto amichevoli, e gli arbusti spinosi nei quali s'impigliavono le vesti. Il freddo e l'umidità le facevano battere i denti e l'angoscia aveva preso il posto dell'euforia. Adesso lo stomaco vuoto reclamava il suo cibo e la piccola Giulia, era impotente di fronte all'incalzare delle sue necessità. Che fare, non poteva tornare indietro, perchè al buio non distingueva il sentiero, la cosa più saggia era fermarsi, trovare un rifugio per la notte. Purtoppo questa arguta riflessione non fece in tempo a dirigere i suoi passi, perchè Giulia inciampò in un fosso e ruzzolò in una buca, che sembrava non finire mai e la portava sempre più giù. Quando finalmente toccò le pendici di quel precipizio, potè tirare un sospiro di sollievo: era ancora viva! Ma era viva e basta, nessuno avrebbe potuto trovarla, nè lei risalire, il buio e il silenzio erano fuori e dentro di lei e in quel silenzio avrebbe potuto perdersi più che nel bosco. Giulia era sempre stata un bambina coraggiosa che sapeva di esserlo, ma in quel frangente parve dimenticarlo. Non riusciva ad attingere alle risorse della sua mente per fonteggiare la paura e l'angoscia e pregava Dio di tirarla fuori da quell'assurda situazione, come in una magia, magari sul dorso di un angelo...ma non succedeva niente. Piano piano sopraggiunse la rassegnazione e il sonno e la stanchezza presero il sopravvento. Nel mezzo della notte Giulia aprì gli occhi, forse per il freddo, o perchè era scomoda e si spaventò fortemente, non riusciva a ricordarsi dove fosse, confuse il verso degli animali con il richiamo della mamma - Giulia svegliati, ma dove sei finita, smettila di agitarti! -. Nel terrore scoppiò a piangere e cominciò a gridare, pur comprendendo che nessuno poteva ascoltarla. Le ore passavano e in Giulia si pacò ogni protesta e la stessa comprese che per sopravvivere avrebbe dovuto rinunciare a vivere. Proprio così, Giulia capì che la paura di morire non poteva proteggerla, nè l'angoscia, era necessario lasciarsi alle spalle tutto quanto le era appartenuto, fino a quel fatidico giorno in cui si era persa nel bosco: i suoi familiari, i suoi sogni per il futuro, la sua casa, i suoi amici, i suoi fratelli. Per quanto strano a dirsi, la cosa più difficile da sdradicare furono i suoi sogni, Giulia voleva studiare, voleva diventare un medico, voleva una famiglia tutta sua...in quel preciso momento in cui si era allontanata dai cugini con i quali si tratteneva nei pressi del lago, pur piccola e incapace di valutare le conseguenze, aveva fatto una scelta che avrebbe modificato radicalmente il corso della sua vita. A nulla servivavo i rimpianti, nulla poteva esserle restituito, era nel fondo di una buca, senza tempo, nè spazio: era ora di prepararsi a morire. - Mio Dio - pensava - la vita è tutta qui? Ho perso ogni cosa, e forse mi appresto a perdere la vita, eppure sento di esistere, nonostante la morte sia alle porte, sento che non finirà, me lo dice la speranza che aleggia sopra ogni impossibilità, me lo dice quel pieno che sento nel cuore, così colmo di emozioni, ancora qui, dove non c'è più niente, ma ci sono io, mi sento viva, leggera, anche se non so se dopo questo respiro ce ne sarà un altro. Giulia aveva perso ogni cosa, in compenso aveva trovato l'abisso del suo cuore, la sua immensità nella sua piccolezza. In quel preciso momento, il buio non fu più buio, la solitudine fu pienezza e Giulia sentì di poter accogliere nel suo cuore l'infinito. Comprese che la vita di ogni uomo è il negativo di un'immagine complessa e piena di colori che è dentro il suo cuore, ma che, a volte, lo si scopre tardi, o forse non lo si scopre mai. Giulia chiuse gli occhi e si abbandonò.

domenica 10 maggio 2015

Quando una Mamma.

Quando Chia è venuta al mondo non conosceva sua madre, così ha cominciato da subito a cercarla fra i volti che lo osservavano. - Sarà lei, è così dolce e affettuosa, ma no, è lei, riconosco la sua voce...sono indecisa, forse è lui, lo capisco da come mi osserva, si vede che mi vuole bene!- pensava. Intanto passava di braccio in braccio, e in ogni stretta cercava sua madre, ma, ahimè, proprio non riusciva a trovarla. Il tempo passava, Chia cresceva, osservava gli sguardi compiaciuti degli altri bimbi quando le mamme andavano a prenderli a scuola, ma lei no, non aveva mai voglia di tornare a casa. - Cos'è un mamma?- si chiedeva, - perchè io non la trovo? Forse c'è e non la riconosco.- Così cominciò a osservare con attenzione i suoi fratelli, i suoi cugini, gli amici di scuola per leggere nei loro cuori, finchè un giorno trovò una risposta: "Penso che la mamma sia quella persona che quando hai paura ti prende per mano, ti sussurra quelle paroline nell'orecchio, e tu senti che di lei ti puoi fidare e non hai più paura. Sì, ho capito, la mamma è quel seno caldo dove poggi le guance quando ti sei fatto male e senti il battito del suo cuore che pumpum, pumpum, non ti fa più avvertire il dolore. Lei è quella che quando l'hai fatta grossa, sai che ti puoi confidare, che ti ascolterà e ti resterà vicino. Certo, la mamma è quell'angelo che ti dice di non fermarti quando sei sfinito e la sua voce è forte forte e tu vai avanti perchè sai che lei c'è, e non senti più la fatica. Ho capito tutto, la mamma è quella sete che solo quando la guardi negli occhi si paca, lei è i colori della primavera quando scoppiano nell'aria dopo il freddo dell'inverno, lei è il tuffo al cuore quando sei felice e non sai perchè". Dopo la gioia di questa scoperta, Chia si abbattè invece di essere felice: aveva impiegato un vita per cercare una risposta, e ora che l'aveva trovata era terribilmente triste e si odiava per questo. - Ora che ho capito, è troppo tardi, sono rimasta sola, non potrò più trovarla.- Chia era diventata grande. - Ma come è possibile avere nostalgia di qualcosa che non si è mai conosciuto?- cominciò a chiedersi. Ebbene sì, qualcuno doveva averglielo insegnato, qualcuno che le era sempre stato vicino, e che, a sua insaputa, aveva avuto cura di lei, così Chia la chiamò a voce alta - Mamma -, - Sì, io sono tua, io sono qui, sono nel tuo futuro, guarda avanti, guarda in alto, non guardarti indietro, dammi la mano, non sostiamo, alzati e andiamo avanti, sii felice bambina mia e porta questa gioia ai tuoi figli".- Eccolo il tuffo al cuore, ora Chia poteva essere felice perchè, dopo tanto cercare, finalmente l'aveva riconosciuta.