lunedì 29 febbraio 2016

Il fascino della verità

La verità è entrata nel mio cuore col suo volto limpido, con la sua voce soave, con i suoi colori vibranti, mi ha sedotto e ora non posso fare a meno di cercarla e di sperimentare le sue mille sfumature. Mi travolge la gioia della sua scoperta, l'ansia della sua ricerca, il dolore delle sue sconfitte, anche la sofferenza pare dolce alla luce della Verità. Pare un prezzo giusto per chi la ama, il fio della sofferenza. Lei penetra dentro di te, dal silenzio arriva e con un fragore esplode nel tuo cuore. Dapprima ti rende fiero, audace, come un soldato che ostenta il suo stendardo, poi ti forgia, come il vento che modella le pietre, infine ti fa suo, tutto, sempre. Non è mai tua, ne hai fame e sete, perchè quando ti pare di averla raggiunta, ti sfiora e fugge via, legandoti a lei con un cordone invisibile, ma sempre più spesso. Come un amante ti nutre e ti affama allo stesso tempo. Sinuosa volteggia innanzi ai tuoi occhi, ti inebria del suo profumo e quando ti manca senti il dolore della sua assenza. Così piano piano il sentimento nei suoi confronti cambia, ti senti schiavo d'amore, piccolo e inerme, le chiedi di darti un po’ di tempo per pensare, vuoi provare ad essere libero, senza di lei. Dapprincipio ti senti più lieve, poi risale come un’eco dalla parte più profonda di te, è il suo profumo, è il ricordo delle emozioni e dei bei momenti trascorsi insieme, a combattere, come soldati, e capisci che non puoi lasciarla andare, che non puoi tornare indietro, che lei ti ha cambiato e non sei più quello di prima, che non avresti dovuto lasciarti sedurre dapprincipio, che ora negarla significa rinnegare te stesso, significa soffocare la tua anima, non riuscire a darle voce. Il tuo cuore geme, perchè non trova più le parole e tu sei lì sospeso, tra il desiderio della resa, il non volerti sentire schiavo. Desideri una vita serena, senza i toni accesi dell'osservare l'ingiustizia e il sopruso, vorresti vivere di illusioni e accettare per vero quello che ti danno da credere. Implori, "Signore donami di vivere nel mondo, ridammi la mia libertà!”. Ma poi, stare lontano da quanto ti chiede di lottare, non è più una liberazione, ti senti snaturato, sì, perchè la tua natura non è più quella di prima di incontrarla, tu sei lì, la parte migliore di te è nell'incontro con la tua amata e rinnegarla significa, perderersi, perdere quella parte di te che tutta si è donata. Né con lei, nè senza di lei. Così dichiari la tua resa, ti abbandoni alla tua amata, non prima di aver pregato iddio di partarti via dal tuo tormento, prendendosi la tua vita. Umile e sconfitto dall'amore, smetti di resisterle. Sai che soffrirai ancora e ancora, ma sai anche che senza di lei è morte comunque. Così fai della verità il tuo vessillo, il tuo scudo. Solo in questo trovi la pace, nella quiete dell'abbandono, perchè la Verità trascende l'individuo fragile e corrotto, la verità entra nel mondo quando il cielo si squarcia nei lampi, la Verità è sinuosa, scende verso il basso e spinge verso l'alto, non puoi mai afferrarla, la Verità è tanta e troppa, la si può solo amare.

mercoledì 24 febbraio 2016

Danza di primavera

All'alba di un giorno di primavera il sole si alzò nel cielo radioso come non mai e felice di scaldare la gelida aria della notte con i suoi raggi benefici. Generosa la stella più grande del nostro cielo, espandeva il suo tiepido calore fra le nubi colorandole di un rosa aranciato. La terra baciata dal sole si beava nel tepore dell'alba e si lasciava avvolgere dal tenue calore dei tiepidi raggi. Il sole ammirava la terra e come un pittore la dipingeva di colori che si accendevano al suo passaggio lieve di un giorno di primavera. Era una danza di sguardi senza precedenti, fra la stella più luminosa e il pianeta azzurro, denso di atmosfera. La notte incalzava e la terra si apprestava al torpore del sonno nel gelo della notte senza luce. Coraggioso il globo affrontava la notte da miliardi di anni e aveva imparato ad attendere fiducioso il nuovo giorno per incontrare l'amata stella e lasciarsi avolgere dal suo radioso manto. Dopo quel giorno di primavera così lieve e appassionato, il sole cominciò a roteare nel cielo e a danzare per l'amata terra e questa rimase stupita da tanta grazia. Non era più abitudine l'avvicendarsi del giorno e della notte, ma attesa e abbandono fiducioso. Il vortice della passione accendeva ogni giorno più il nucleo dei due ed il sole incorse in una tempesta che avvolse la terra con un bagliore sì intenso e colorato da lasciare stupita l'umanità intera. Il magma scoperchiò le vette dei vulcani e la terra s'accese tutta, anche di notte, in un delirio di luce. I due corpi s'intrecciarono fino ad essere confusi, non si distingueva il verde delle foreste o l'azzurro dei fiumi, nè il bianco dei poli e il colore eburneo della notte. C'era una luce diffusa e un bagliore accecante, che spaventò la terra riarsa la quale non si riconobbe. "Ti prego, mia stella, spegni i tuoi raggi furiosi, prima che io sia assorbita dal tuo generoso calore. Se non avrò la notte non sentirò il giorno che incalza, se non ci sarà il buio e il freddo, come potrò apprezzare il tuo calore, dove l'attesa di un novo giorno se mi avvolgi con il tuo impeto". Il sole l'amò ancor più, perchè prima di allora non aveva compreso le sue fragilità e allentò la presa dei suoi raggi travolgenti. Quale gesto d'amore più grande di quello di imparare a leggere nel cuore dell'altro, quale luce più avvolgente di quella tra due sguardi innamorati, qual dono più grande di quello di sè all'altro, nell'anima sempre candida e nel corpo segnato dalle ferite del tempo, ma che rinasce ogni giorno fra le braccia dell'amato.

domenica 21 febbraio 2016

Diluvio

Lidia era a casa quel pomeriggio d'inverno di fine Dicembre, leggeva un libro nella penombra della sala, gustando le parole della sua autrice preferita, in compagnia di se stessa e abbandonata alle emozioni della sua intimità. D'improvviso un tuono ruppe il silenzio e illuminò il cielo buio. Lidia non diede peso a quel fragore, una cortina la separava dal mondo, in quell'istante di solitudine che ella stessa si era concessa. Presto dovette fare i conti con il vento che strappava i panni dallo stendino e vinceva sulle mollette più deboli, scaraventando al suolo le magliette ancora umide. Posò il libro sul tavolino e si diresse verso il balcone, non prima di aver stretto la vestaglia sui fianchi per far fronte al freddo che s'intensificava nelle folate di vento. Raccolse i panni alla rinfusa e sistemò in un cesto proponendosi di rassettarli una volta rientrata nel tepore della sala. Così fece, ripiegò le maglie, gli slip, gli strofinacci per riporli sul calorifero e lasciar evaporare l'umidità. Girò la valvola del termostato su venti gradi e tornò alla sua postazione, sul divano, coprendosi le gambe con il plaid sul quale in precedenza aveva poggiato le gambe. Lieta di aver provveduto a quanto utile per ripristinare la perduta tranquillità, riprese a leggere il libro dalla pagina precedente, per recuperare il filo della trama del romanzo. Un tuono, più forte la fece sobbalzare e distolse nuovamente la sua attenzione. Lidia amava i temporali, e cominciò ad osservare il cielo, che, a tratti e con sempre maggiore intensità s'illuminava in lontananza. La pioggia cominciò a sbattere sui vetri della finestra del salone e Lidia si decise a fare un giro per casa per verificare che tutte le imposte fossero chiuse. Rassicurata tornò alla sua postazione e rimase incantata ad osservare le finestre, prima coperte da piccole gocce d'acqua riposte alla rinfusa, poi, velocemente, bagnate in modo più uniforme. "Che spettacolo", pensò, si sentiva al sicuro, nel tepore della sua abitazione, ad osservare quell'acquazzone che incalzava contro il suo terrazzo, "Quasi quasi mi preparo una bella tisana calda". Non fece in tempo ad esaudire questo suo desiderio, che l'acqua cominciò a penetrare sotto le imposte. "Mai successo prima", blaterò, mentre prese a dirigersi verso il bagno per raccogliere qualche asciugamano da riporre tra l'infisso e il pavimento. In quel frangente si accorse che dalla finestra del bagno, che si esponeva direttamente sulla strada, penetrava l'acqua senza inibizione di sorta e cadeva sul pavimento schizzando sui sanitari. "E ora, cosa faccio?". L'emozione provata pochi istanti prima si trasformò gradualmente in timore e poi in allerta, perché in pochi minuti si accorse di aver i piedi nell'acqua. Lidia non era preparata, non era mai successo prima che l'acqua entrasse in casa e i tuoni si susseguissero in maniera incessante e tale da coprire il rumore del vento. Tornò in sala e cercò di guardare fuori dalla finestra per accorgersi che l'acqua cadeva in modo torrenziale, a secchiate e s'infrangeva contro la sua finestra, quasi ad aprirla. Afferrò il cellulare e chiamò i vigili del fuoco per capire come ci si comportasse in queste evenienze, ma non riuscì a mettersi in contatto, le linee erano intasate. In meno di niente l'acqua le arrivò alle ginocchia e lei, che abitava al piano rialzato, intese che sarebbe stato opportuno uscire dall'abitazione. Raccolse le chiavi di casa e qualche oggetto di valore. Il suo cuore andò subito al romanzo, afferrò il libro, raccolse un paio di stivali dall'armadio, indossò l'impermeabile e afferrò la borsa, sentendo il cuore nelle orecchie e il respiro affannoso. Aprì la porta d'ingresso, lasciando entrare un fiume d'acqua, cercò di richiudere la porta, ma non ci riuscì, mentre l'acqua le era salita fino all'inguine e il freddo l'avvolgeva come una coperta di ghiaccio. Tremando tutta salì sul terrazzo dove incontrò i vicini di casa, sconvolti, infreddoliti, i bimbi piangevano e le mamme urlavano istericamente. Lei no, rifuggiva gli sguardi spaventati delle persone che incontrava e si spinse fino al muretto del terrazzo, sporgendosi per capire cosa stesse succedendo. Doveva essere esondato il fiume, e una corrente si dirigeva all'impazzata trascinando con sé auto, persone, rami, oggetti d'ogni sorta. Nessuna logica nei suoi pensieri, angoscia, paura, freddo, tutto quanto la spinse a guardare in alto: "Mio Dio, io e Te, ora, stringimi la mano, stringimi forte, fammi calore, parla al mio cuore, non lasciarmi, fammi sentire che ci sei, perdonami per tutte le volte che ti ho offeso, se hai deciso, vienimi a prendere, portami con Te, sì, ti prego, portami con Te!”. Le lacrime le coprivano il volto e questo la faceva sentire sollevata, riusciva finalmente a spingere fuori da sé un po' d'angoscia. Una mano l'afferrò violentemente e la spinse per terra, Lidia guardò con odio la donna che l'aveva urtata, per accorgersi, nell'immediato, che se la signora non l'avesse spostata, sarebbe stata colpita da un pezzo di cornicione che le si stava scagliando contro. Lidia tornò in sé e ringraziò la donna con un sorriso, chiedendole implicitamente scusa per lo sguardo d'odio che poc'anzi le aveva lanciato. Qualcuno aveva scelto la vita per lei, o forse il suo Dio aveva risposto alle sue preghiere. Lidia si guardò intorno, la pioggia aveva diminuito la sua intensità, anche se un fiume d'acqua scorreva ancora tra le strade. Ricordò di aver lasciato la porta d'ingresso aperta e comprese che in quel fiume si raccoglieva tutto quanto le appartenesse, aveva perso tutto, tranne il romanzo, fradicio, ma che ancora stringeva fra le mani. Ripensò a quel momento in cui si era seduta sul divano, con il libro sulle ginocchia, si sentiva ricca, piena, al sicuro, inconsapevole che quello fosse il momento di snodo fra il prima e il dopo. Ora alzò lo sguardo supplice al cielo e chiese a Dio perché non l'avesse presa con sé, le toccava ricominciare, ancora una volta. Dopo quel momento di rabbia, disperazione, Lidia comprese, che, per assurdo, ora era più ricca di prima, era sopravvissuta ad un'esperienza singolare, era nuda e spoglia, aveva perso tutto quello che la proteggeva, ma proprio per questo aveva avuto l'occasione di scoprire come fosse, senza orpelli. Era una persona fragile, incapace di far fronte alla paura, si era fatta prendere dal panico, ma aveva fatto l'unica cosa che l'avrebbe salvata, aveva chiesto aiuto al suo Dio. "Nulla sono, mio amor, nulla possiedo, non posso fregiarmi di altra virtù, che quella di avere Te. Non ho difese, né persone che dicano di me "mia": "mia sorella", "mia figlia", "mia moglie", "mia madre", ma il mio nome è scritto sul palmo della tua mano e io posso dire di avere Tutto e ringraziarti sempre, incessantemente, in ogni palpito del mio cuore, in ogni respiro e battito di ciglia".