domenica 21 febbraio 2016

Diluvio

Lidia era a casa quel pomeriggio d'inverno di fine Dicembre, leggeva un libro nella penombra della sala, gustando le parole della sua autrice preferita, in compagnia di se stessa e abbandonata alle emozioni della sua intimità. D'improvviso un tuono ruppe il silenzio e illuminò il cielo buio. Lidia non diede peso a quel fragore, una cortina la separava dal mondo, in quell'istante di solitudine che ella stessa si era concessa. Presto dovette fare i conti con il vento che strappava i panni dallo stendino e vinceva sulle mollette più deboli, scaraventando al suolo le magliette ancora umide. Posò il libro sul tavolino e si diresse verso il balcone, non prima di aver stretto la vestaglia sui fianchi per far fronte al freddo che s'intensificava nelle folate di vento. Raccolse i panni alla rinfusa e sistemò in un cesto proponendosi di rassettarli una volta rientrata nel tepore della sala. Così fece, ripiegò le maglie, gli slip, gli strofinacci per riporli sul calorifero e lasciar evaporare l'umidità. Girò la valvola del termostato su venti gradi e tornò alla sua postazione, sul divano, coprendosi le gambe con il plaid sul quale in precedenza aveva poggiato le gambe. Lieta di aver provveduto a quanto utile per ripristinare la perduta tranquillità, riprese a leggere il libro dalla pagina precedente, per recuperare il filo della trama del romanzo. Un tuono, più forte la fece sobbalzare e distolse nuovamente la sua attenzione. Lidia amava i temporali, e cominciò ad osservare il cielo, che, a tratti e con sempre maggiore intensità s'illuminava in lontananza. La pioggia cominciò a sbattere sui vetri della finestra del salone e Lidia si decise a fare un giro per casa per verificare che tutte le imposte fossero chiuse. Rassicurata tornò alla sua postazione e rimase incantata ad osservare le finestre, prima coperte da piccole gocce d'acqua riposte alla rinfusa, poi, velocemente, bagnate in modo più uniforme. "Che spettacolo", pensò, si sentiva al sicuro, nel tepore della sua abitazione, ad osservare quell'acquazzone che incalzava contro il suo terrazzo, "Quasi quasi mi preparo una bella tisana calda". Non fece in tempo ad esaudire questo suo desiderio, che l'acqua cominciò a penetrare sotto le imposte. "Mai successo prima", blaterò, mentre prese a dirigersi verso il bagno per raccogliere qualche asciugamano da riporre tra l'infisso e il pavimento. In quel frangente si accorse che dalla finestra del bagno, che si esponeva direttamente sulla strada, penetrava l'acqua senza inibizione di sorta e cadeva sul pavimento schizzando sui sanitari. "E ora, cosa faccio?". L'emozione provata pochi istanti prima si trasformò gradualmente in timore e poi in allerta, perché in pochi minuti si accorse di aver i piedi nell'acqua. Lidia non era preparata, non era mai successo prima che l'acqua entrasse in casa e i tuoni si susseguissero in maniera incessante e tale da coprire il rumore del vento. Tornò in sala e cercò di guardare fuori dalla finestra per accorgersi che l'acqua cadeva in modo torrenziale, a secchiate e s'infrangeva contro la sua finestra, quasi ad aprirla. Afferrò il cellulare e chiamò i vigili del fuoco per capire come ci si comportasse in queste evenienze, ma non riuscì a mettersi in contatto, le linee erano intasate. In meno di niente l'acqua le arrivò alle ginocchia e lei, che abitava al piano rialzato, intese che sarebbe stato opportuno uscire dall'abitazione. Raccolse le chiavi di casa e qualche oggetto di valore. Il suo cuore andò subito al romanzo, afferrò il libro, raccolse un paio di stivali dall'armadio, indossò l'impermeabile e afferrò la borsa, sentendo il cuore nelle orecchie e il respiro affannoso. Aprì la porta d'ingresso, lasciando entrare un fiume d'acqua, cercò di richiudere la porta, ma non ci riuscì, mentre l'acqua le era salita fino all'inguine e il freddo l'avvolgeva come una coperta di ghiaccio. Tremando tutta salì sul terrazzo dove incontrò i vicini di casa, sconvolti, infreddoliti, i bimbi piangevano e le mamme urlavano istericamente. Lei no, rifuggiva gli sguardi spaventati delle persone che incontrava e si spinse fino al muretto del terrazzo, sporgendosi per capire cosa stesse succedendo. Doveva essere esondato il fiume, e una corrente si dirigeva all'impazzata trascinando con sé auto, persone, rami, oggetti d'ogni sorta. Nessuna logica nei suoi pensieri, angoscia, paura, freddo, tutto quanto la spinse a guardare in alto: "Mio Dio, io e Te, ora, stringimi la mano, stringimi forte, fammi calore, parla al mio cuore, non lasciarmi, fammi sentire che ci sei, perdonami per tutte le volte che ti ho offeso, se hai deciso, vienimi a prendere, portami con Te, sì, ti prego, portami con Te!”. Le lacrime le coprivano il volto e questo la faceva sentire sollevata, riusciva finalmente a spingere fuori da sé un po' d'angoscia. Una mano l'afferrò violentemente e la spinse per terra, Lidia guardò con odio la donna che l'aveva urtata, per accorgersi, nell'immediato, che se la signora non l'avesse spostata, sarebbe stata colpita da un pezzo di cornicione che le si stava scagliando contro. Lidia tornò in sé e ringraziò la donna con un sorriso, chiedendole implicitamente scusa per lo sguardo d'odio che poc'anzi le aveva lanciato. Qualcuno aveva scelto la vita per lei, o forse il suo Dio aveva risposto alle sue preghiere. Lidia si guardò intorno, la pioggia aveva diminuito la sua intensità, anche se un fiume d'acqua scorreva ancora tra le strade. Ricordò di aver lasciato la porta d'ingresso aperta e comprese che in quel fiume si raccoglieva tutto quanto le appartenesse, aveva perso tutto, tranne il romanzo, fradicio, ma che ancora stringeva fra le mani. Ripensò a quel momento in cui si era seduta sul divano, con il libro sulle ginocchia, si sentiva ricca, piena, al sicuro, inconsapevole che quello fosse il momento di snodo fra il prima e il dopo. Ora alzò lo sguardo supplice al cielo e chiese a Dio perché non l'avesse presa con sé, le toccava ricominciare, ancora una volta. Dopo quel momento di rabbia, disperazione, Lidia comprese, che, per assurdo, ora era più ricca di prima, era sopravvissuta ad un'esperienza singolare, era nuda e spoglia, aveva perso tutto quello che la proteggeva, ma proprio per questo aveva avuto l'occasione di scoprire come fosse, senza orpelli. Era una persona fragile, incapace di far fronte alla paura, si era fatta prendere dal panico, ma aveva fatto l'unica cosa che l'avrebbe salvata, aveva chiesto aiuto al suo Dio. "Nulla sono, mio amor, nulla possiedo, non posso fregiarmi di altra virtù, che quella di avere Te. Non ho difese, né persone che dicano di me "mia": "mia sorella", "mia figlia", "mia moglie", "mia madre", ma il mio nome è scritto sul palmo della tua mano e io posso dire di avere Tutto e ringraziarti sempre, incessantemente, in ogni palpito del mio cuore, in ogni respiro e battito di ciglia".