domenica 13 ottobre 2013

Il guerriero 3

Il guerriero non è più tale, la guerra, la sua guerra, è agli sgoccioli, ora si confronta con la propria esistenza e non trova pace nel quotidiano, nulla è come prima: non trova risposte negli amici, nel divertimento, nelle ore che scandiscono la sua giornata. Un giorno vede un’immagine di San Francesco e, pensando alla sua storia, si sente un po’ come lui: anche Francesco torna dalla guerra, con l’orrore nel cuore, sconfitto dal non sapere chi è, dallo scoprire che tutto quello in cui ha creduto, non è quello che sperava essere. Francesco è confuso e attende una risposta proprio come lui. Così il guerriero decide di parlargli, come ad un amico: -Mio caro Francesco, mi rivolgo a te da questa sofferta e meravigliosa terra dove ho la fortuna di essere ancora, nel preciso momento in cui ti parlo, confuso, proprio come lo eri tu. Sento che mi comprenderai, che puoi ascoltarmi, non so spiegarmi perché tu...dopo ottocento anni, forse da quando ho visto un’immagine dei tuoi piedi scalzi...da quel momento penso spesso a te e mi capita di non riuscire a fermare la lacrime. Quanto hai amato Cristo, per volergli somigliare, in tutto, quanto hai odiato quello che gli è contrario, per sopportare gli stenti... Chi di noi non ha pensato almeno una volta nella vita, di vivere nella semplicità, nell’umiltà, ma si è fermato alla prima derisione, alla prima offesa. Non so perché, ma oggi vorrei essere insieme a te, vorrei essere come te, nel profondo del mio cuore, sento anche io la freschezza di quel richiamo, la potenza di quell’amore, il disprezzo di questo mondo. Tu hai ben compreso che la strada è quella della povertà, ma non hai avuto paura, l’hai perseguita sfidando la più crudele delle tentazioni: l’amor proprio. Se vedo la tua mano sulla mia spalla, credo di desiderare di andare avanti, se vedo la tua tonaca sdrucita, desidero amare la semplicità, quella dei bambini, dei malati, dei poveri...Qual è il limite con cui si osa dire a Dio che lo si ama, qual è il punto in cui ci si deve arrendere alla propria pochezza, e dire... ora basta. Qual è il dolore che non si può sopportare e dinanzi al quale dire "mi arrendo". Come si fa a non ascoltare il proprio cuore che chiede di amare e dal quale scroscia l’acqua abbondante della grazia, che non può contenersi, che vuole gridare al mondo intero che si ama Dio e l’Universo. Come si fa a far capire che si ama il proprio nemico, anche quando questi ci sopraffà, anche quando ci si difende. Come si fa a trovare qualcuno che comprenda che nel silenzio e nella solitudine c’è il Creatore, sempre; che nel poco c’è la gioia della condivisione e nel troppo c’è la disperazione di volersene appropriare; che nel possesso ci si perde e nell’aprire 
le porte c’è la libertà. Perché siamo pazzi se amiamo come Lui e siamo poveri se siamo come te, ma siamo ricchi se abbiamo il denaro? Ora comprendo, caro Francesco, cosa la vita vuole per me...vuole darmi tutto, purché non possegga nulla, vuole che io sia con gli altri, purché sia solo dinanzi a Lui, al Creatore, vuole che sia vuoto, per dare spazio al pieno, che è l’Amore, vuole che sia ignorante, per conoscere la Verità, vuole che cammini sulle orme del Creatore, scalzo...come te, per sentire la terra e sentirmi terra, ultimo tra gli ultimi ma primo nell’Amore.-