mercoledì 25 dicembre 2013

La quercia rigogliosa

Una quercia robusta e rigogliosa era ammirata e ricercata da tutti gli abitanti della foresta: con i suoi ampi rami accoglieva gli uccelli e nei fori del suo tronco si riparavano gli scoiattoli, spesso coppie di fidanzati cercavano rifugio, sotto le sue fronde, dai pomeriggi assolati. Lei pensava: "Cosa mi manca? Sono grande, sono bella e rigogliosa, sono utile e amata dalle creature che mi circondano e, con la mia altezza sono più vicina al cielo così da poter ringraziare il Creatore di tanta beltà concessami". Un dì un fulmine si abbatté sulla sua alta chioma e ne bruciò un intero ramo imponente. Tutti gli uccelli volarono via in un soffio e le foglie caddero bruciate al suolo. "Non importa" pensò la quercia, "presto ricresceranno i rami e le foglie, così tutte le creature torneranno a riempire i miei rami: gli uccelli con il loro cinguettio e il loro battito d’ali, i daini verranno a grattare il loro palco sul mio tronco ed io ritroverò il mio antico splendore". Per suo grande stupore, non crebbero più rami lì dove il fulmine li aveva bruciati e le foglie della restante chioma, ingiallirono e caddero. "Che importa" pensò la quercia, "se in cinquant’anni sono diventata così imponente, in tutta la vita tornerò nella mia forma originaria". Ma così non fu, la fauna temeva di avvicinarsi all’albero, molti animali erano morti in quel funesto giorno di tempesta, e la quercia si trovò sola e deturpata. “Signore", implorò un giorno, "ma tu cosa vuoi da me? Perché hai permesso questo? Cosa te ne fai di un albero malandato e inutile?”. I giorni passavano e la quercia era sempre più triste, più sola e più malata. Quant’era dura per lei sentirsi inutile, tanto più che il ricordo dei tempi antichi la tormentava. "Io non sono quello che appaio, io sono viva!" gridava la quercia, ma nessuno l'udiva.... Un giorno, dopo tanto patire, scoprì alcune campanule ai suoi piedi e l’erba prese a crescere intorno alle sue radici, così gli animali vennero a pascere vicino a lei. L’edera l’avvolse e riempì i suoi rami spogli e il calore e la stretta di quella rampicante la fecero sentire bene. Gli anni passarono e ormai nessuno si accorgeva più che aveva perso un intero ramo con i suoi tralci, forse il più grande, anche se non il più bello. La quercia divenne sempre più forte, ma sempre più umile perché sapeva, dentro di sé, che tutta la selva che la circondava, tutta la l’edera che la riscaldava e così i fiori che le agghindavano le radici, non le appartenevano. D’inverno le foglie della rampicante seccavano e i fiori appassivano, ma in primavera...era uno spettacolo di colori! Le sue amiche querce erano sempre verdi e piene di foglie, lei in inverno mostrava i suoi nudi rami, ma in questo modo aveva imparato ad affrontare il freddo e la solitudine, aveva conosciuto l’attesa nella quale sapeva non perdere la speranza e tutto questo poté insegnarlo alle creature che non disdegnavano la su presenza.

mercoledì 4 dicembre 2013

Una goccia d'acqua

Tanto tempo fa, una goccia d’acqua di una cometa, si allontanò dalla scia ghiacciata e cominciò a vagare nello spazio. Lei aveva una meta: ritrovare la sua cometa! Così cercò per anni, senza mai dormire, quella scia luminosa piena di ricordi della sua meravigliosa infanzia ... gli amici, le feste e quel bagliore meraviglioso che la precedeva. Nel suo vagare si accorse che lo spazio, per lo più era vuoto e che ci volevano migliaia di anni luce per correre da un punto all’altro dell’universo nella speranza di scorgere una luce, una galassia, una meteora: lei non trovò altro che buio. Il tempo passava e la goccia d'acqua era sola, sempre più sola man mano che scopriva l’immensità dell’universo e i ricordi l’abbandonavano. Cominciò a sperare di essere inglobata nell’orbita di qualche stella o pianeta, avrebbe potuto essere parte di un anello di Saturno, o magari ghiaccio su Marte, o chissà, sarebbe evaporata sulla superficie incandescente di una stella. Ma non fu così, integra, circolare ... e solitaria si era persa nell’infinito! Le prese la disperazione, cominciò a temere di vagabondare per l’eternità nello spazio vuoto e buio, senza mai incontrare la fine. Disperò per migliaia di anni luce, senza mai trovare un suo simile, o magari qualcosa di diverso... e di quelle migliaia di anni sentiva il peso di ogni secondo e di tutti i secondi che sarebbero seguiti nella sua vita. Un giorno sentì che non era possibile andare avanti così... doveva cercare di dare un senso al suo esistere e smettere di pensare al niente cui sarebbe seguito altro niente. Così frenò il chiasso dei suoi pensieri e, nel silenzio, sentì un calore nel profondo del suo cuore e già…aveva vagato nel vuoto per tanti anni, senza mai ascoltare il suo cuore, che ora le parlava e la faceva sentire viva. Così si abbandonò a quel calore, quella sua piccola gravità che le permetteva di non disgregarsi in un mucchio di atomi. Pensò: io sono acqua e l‘acqua è il principio della vita, non importa se non lo saprà mai nessuno, se non potrò raccontarlo, né condividerlo, io sono viva e né la morte, né l’oscurità, la rabbia, la solitudine potranno
 negarlo: sono una goccia d’acqua nel deserto dello spazio e...sono certa che prima o poi, e non importa quando, incontrerò un pianeta, magari senza vita e lì porterò l’ossigeno e la vita potrà sussistere. E così fu, dopo milioni, anzi miliardi di anni, la goccia d’acqua cadde sulla terra e per una serie di circostanze fortuite, non evaporò, ma fu metabolizzata dai batteri e divenne ossigeno e quell’ossigeno profumò l’intero pianeta e rese stabile la vita. La speranza, che fu certezza, rese libera la goccia d’acqua dalle catene della paura che la tenevano sospesa e la lasciò approdare su un pianeta che si chiama Terra e dal calore di una singola goccia, si originò la vita.

domenica 13 ottobre 2013

Il guerriero 3

Il guerriero non è più tale, la guerra, la sua guerra, è agli sgoccioli, ora si confronta con la propria esistenza e non trova pace nel quotidiano, nulla è come prima: non trova risposte negli amici, nel divertimento, nelle ore che scandiscono la sua giornata. Un giorno vede un’immagine di San Francesco e, pensando alla sua storia, si sente un po’ come lui: anche Francesco torna dalla guerra, con l’orrore nel cuore, sconfitto dal non sapere chi è, dallo scoprire che tutto quello in cui ha creduto, non è quello che sperava essere. Francesco è confuso e attende una risposta proprio come lui. Così il guerriero decide di parlargli, come ad un amico: -Mio caro Francesco, mi rivolgo a te da questa sofferta e meravigliosa terra dove ho la fortuna di essere ancora, nel preciso momento in cui ti parlo, confuso, proprio come lo eri tu. Sento che mi comprenderai, che puoi ascoltarmi, non so spiegarmi perché tu...dopo ottocento anni, forse da quando ho visto un’immagine dei tuoi piedi scalzi...da quel momento penso spesso a te e mi capita di non riuscire a fermare la lacrime. Quanto hai amato Cristo, per volergli somigliare, in tutto, quanto hai odiato quello che gli è contrario, per sopportare gli stenti... Chi di noi non ha pensato almeno una volta nella vita, di vivere nella semplicità, nell’umiltà, ma si è fermato alla prima derisione, alla prima offesa. Non so perché, ma oggi vorrei essere insieme a te, vorrei essere come te, nel profondo del mio cuore, sento anche io la freschezza di quel richiamo, la potenza di quell’amore, il disprezzo di questo mondo. Tu hai ben compreso che la strada è quella della povertà, ma non hai avuto paura, l’hai perseguita sfidando la più crudele delle tentazioni: l’amor proprio. Se vedo la tua mano sulla mia spalla, credo di desiderare di andare avanti, se vedo la tua tonaca sdrucita, desidero amare la semplicità, quella dei bambini, dei malati, dei poveri...Qual è il limite con cui si osa dire a Dio che lo si ama, qual è il punto in cui ci si deve arrendere alla propria pochezza, e dire... ora basta. Qual è il dolore che non si può sopportare e dinanzi al quale dire "mi arrendo". Come si fa a non ascoltare il proprio cuore che chiede di amare e dal quale scroscia l’acqua abbondante della grazia, che non può contenersi, che vuole gridare al mondo intero che si ama Dio e l’Universo. Come si fa a far capire che si ama il proprio nemico, anche quando questi ci sopraffà, anche quando ci si difende. Come si fa a trovare qualcuno che comprenda che nel silenzio e nella solitudine c’è il Creatore, sempre; che nel poco c’è la gioia della condivisione e nel troppo c’è la disperazione di volersene appropriare; che nel possesso ci si perde e nell’aprire 
le porte c’è la libertà. Perché siamo pazzi se amiamo come Lui e siamo poveri se siamo come te, ma siamo ricchi se abbiamo il denaro? Ora comprendo, caro Francesco, cosa la vita vuole per me...vuole darmi tutto, purché non possegga nulla, vuole che io sia con gli altri, purché sia solo dinanzi a Lui, al Creatore, vuole che sia vuoto, per dare spazio al pieno, che è l’Amore, vuole che sia ignorante, per conoscere la Verità, vuole che cammini sulle orme del Creatore, scalzo...come te, per sentire la terra e sentirmi terra, ultimo tra gli ultimi ma primo nell’Amore.-

sabato 21 settembre 2013

Ombra

Ti ho visto mentre mi lasciavi la mano e ti allontanavi, sapevo non saresti tornata più, ho provato a chiamarti mentre sparivi dietro l’orizzonte, sono salita in alto e ancora più su per seguirti più a lungo, ma tu ti spingevi oltre senza guardarti indietro, ed ora vaghi raminga, senza di me... Mia meravigliosa ombra, che mi seguivi le notte e a volte anche il giorno, mi sono illusa che tu avessi cura di me, che mi conducessi, forse perché eri sempre lì quando mi voltavo, ma eri solo un miraggio. Lo so che non tornerai mai più, a nulla varrà la luce inebriante della luna piena, il caldo e focoso sole del meriggio, sei lontana da me e non sai di esserlo, ti sei perduta e confusa vaghi nel nulla. Pensavi bastasse la notte a darti forma, ma era la mia mano a cercarti, era il mio amore a sostenerti, era il mio cuore a guidarti...finché non ti sei stancata di me, mia fragile ombra, e sei andata via in una notte d’inverno, non sapendo che lasciandomi ti saresti persa...non smetterò mai di amarti e di tanto in tanto aprirò la mano, sperando di stringere la tua, ignorerò il destino e la ragione, ti cercherò nel mio cuore dove so, adorabile ombra, che ti troverò sempre.

venerdì 6 settembre 2013

Il grembo della terra

O terra, meravigliosa terra, dalle verdi chiome alberate, cosparsa di inebrianti profumi e dipinta di vivi colori, chi ha maledetto il tuo grembo che accoglie le spoglie dell'uomo ed ivi lo seppellisce? Il tuo richiamo come canto di sirena lo trascina nel fondo del tuo ventre, i tuoi caldi abbracci come tempesta di sabbia sferzano le sue stanche membra. Dove ti posi tutto diviene informe, non c'è pace né amore; godi silente del grido disperato dei tuoi figli. Come osi chiamarti madre tu che rigetti i tuoi figli quando divengono uomini e li accogli quando assumono la consistenza della polvere! Eppure sei stata creata per generare la vita, dove sono le tue opere, dove le tue creature? Sono forse le ombre della notte? Sono i gemiti nell'oscuritá? Non così ti volle l'Altissimo, ma humus fecondo dal quale nascessero gigli e alberi dai frutti succosi. Ed ora sei divenuta sterile, a nulla serviranno le tue preghiere, non un seme é sopravvissuto alla tua brama. Eppure per chi ti ha amato e tu hai rinnegato, o terra bruna, esiste ancora un luogo non lontano dal sospiro di Dio, dove riporre la speranza, che, seppure non si é conosciuto il tuo amore, la vita continua come lussureggiante foresta e questo posto é il cuore.

sabato 31 agosto 2013

Lo scolaro

Corre lo scolaro verso la fine dell'anno, conta i giorni, le ore che lo separano dalla liberazione, conta gli anni che annunciano il termine di un percorso obbligato. Suda lo scolaro per ottenere la sufficienza, piange perché, nonostante i suoi sforzi non gli hanno riconosciuto l'eccellenza, si riposa lo scolaro prima dell'ultima battaglia per la conquista della promozione, impreca, gioisce, si sforza di non addormentarsi sui libri, prega che il mondo non gli crolli addosso dopo una sconfitta, si piega e si rialza, dopotutto perdere una battaglia non è perdere la guerra...qualcosa l'avrà pure imparata da quei benedetti libri! Così arriva la fine, tutto scorre, dice Eraclito, tutto arriva e tutto passa dice la nonna e lo scolaro, ormai adulto si guarda indietro. E quel giorno agognato, in cui tutto finisce, quando finalmente può stringere fra la mani il suo pezzo di carta, capisce di essere felice, ma non per il traguardo raggiunto, o perlomeno non solo per quello: è felice perché la sua sofferenza di fronte alle difficoltà, le incomprensioni, i soprusi come gli aiuti, hanno fatto di lui l'uomo che è oggi, nel bene e nel male. Lo scolaro che non si è arreso, quello che invece non ce l'ha fatta, quello che ha raggiunto l'eccellenza, hanno qualcosa in comune: hanno vissuto!

sabato 17 agosto 2013

L'universo

Quattordici miliardi di anni fa, Dio pose il dito in un punto e lì nacque l'universo. Fu un'esplosione così grande che ancora oggi fa eco nell'immensità. La materia prese a danzare e si aggregò a formare le stelle, che a loro volta si unirono in famiglie, le galassie e queste accolsero nelle loro grandi braccia i pianeti. In un concerto che si dispiega nell'infinito, l'universo continua ad espandersi  in memoria di quel gesto d'amore che restò impresso nella più piccola particella fino alla più grande costellazione. Ancora, il Creatore, in un piccolo pianeta invisibile, si dilettò a immaginare la vita e alla creatura più bella regalò l'anima. Per rendere gioioso il giorno illuminò il cielo con una stella immensa: il sole. Affinché la notte non fosse troppo buia e l'uomo non perdesse la speranza donò alla terra un satellite: la luna. Per far comprendere all'umanità il suo folle amore circondò il globo di altri pianeti, ma in nessuno di questi pose la vita, perché amò talmente l'uomo che non gli sembrò sprecato tutto l'universo solo per lui, anzi rappresentava bene il paradosso del suo amore. L'uomo si accorse di esistere e invece di lasciarsi attirare dal richiamo del suo Autore, spinto dal desiderio di conoscere, si allontanò e creò a sua volta un mondo, che, in verità non gli è venuto tanto bene. Ma nell'universo niente è per sempre,  un giorno il sole si spegnerà,  e il buio e il freddo geleranno la terra. In verità la fine arriva  per tutti gli uomini, ma questi non ci pensano per la memoria che conservano dell'eternità e per l'illusione che la stessa gli appartenga. C'è anche chi crede che farà ritorno in quel punto in cui si è originato l'universo, dove potrà finalmente abbandonarsi fra le amorevoli braccia del suo Creatore: per quest'uomo ogni giorno è un passo che lo avvicina alla sua origine e le stelle, i pianeti, le asteroidi, le meteore, tutto gli parla dell'infinito amore del suo Dio. Ma per ognuno l'universo canta e suona e danza senza sosta da quell'esplosione d'amore per tutta l'eternità, nel cielo infinito e nel suo cuore.

sabato 6 luglio 2013

Piccoli gesti d'amore

Un dì un angelo scese sulla terra e leggiadro s’incamminava tra le strade del mondo. Il primo giorno andò alla scoperta di colori, profumi, sorrisi...e il suo sguardo si levò al cielo con riconoscenza verso il suo Dio che gli aveva mostrato il Creato! Il secondo giorno si dedicò alla natura: innaffiò le piante secche che miracolosamente divennero rigogliose, pulì le le acque dei fiumi, ordinò al cielo una grande pioggia per lavare l’aria, che, per un attimo, fu tersa per tutta le terra, e amò lo sguardo stupito e incantato dell’uomo, così la sera ringraziò l’Infinito per averlo aiutato a riparare il Finito. Il terzo giorno sentì di essere un angelo felice, quasi umano, pieno di vita e di amore. Prese coraggio e avvicinò una donna, le accarezzò il viso ed ella arricciò le labbra in una smorfia e riprese la sua strada; si chinò verso un bambino che era caduto, lo sollevò da terra e gli sorrise, ma arrivò la mamma che, con uno strattone, prese il piccolo per il braccio, lo rimproverò e si diresse in altra direzione. Incontrò un uomo che si disperava dinanzi ad una ruota bucata, prese il crik e in men che non si dica sostituì la gomma forata, l’uomo gli strinse la mano e si dileguò. Così andò avanti fino al tramonto. -Mio Dio, oggi ho sprecato il mio tempo...ho provato ad amare!- Ma il Signore gli fece vedere la prima donna che aveva incontrato, mentre accarezzava il suo compagno, e ancora gli mostrò l'uomo della ruota, mentre aiutava suo figlio a studiare e il bimbo, mentre coccolava il suo cane. “L’uomo è così”, gli disse, “continua il suo cammino, spesso meccanicamente, ma basta un piccolo gesto colmo d’amore per riconquistarlo. Ama dunque e il tuo piccolo gesto si propagherà per tutta la terra”.

sabato 22 giugno 2013

La vita vera

Vola una farfalla e, tra i petali colorati, scorge la bruna terra. Da quell’istante non le bastano più i profumi, non i colori, non il polline saporito… la terra umida la chiama ed ella, sedotta, non può resisterle, così stringe le ali e si abbandona alla caduta libera. Non un ripensamento, ma solo il desiderio la conduce. - Ho conosciuto il cielo e le nubi, i rami e le loro foglie, i fusti e i loro fiori. Ho volato in compagnia di uccelli ed altri insetti, ma la terra, non l’ho mai toccata, non ho mai sentito la sua polvere appesantire le mie ali, il suo calore in estate, il suo profumo in autunno….- Così, in men che non si dica, approda sul brulicante suolo. Una morsa le stringe il cuore, è un’emozione di gioia, paura, speranza… sente le zampe sprofondare nella terra e un peso mai avvertito prima. Si guarda intorno, è sola, anzi, l’unica farfalla. Avverte un formicolio sulle esili zampette, le formiche la attraversano e animali giganti la sfiorano: premendo i loro zoccoli pesanti sul terreno provocano rumori assordanti, vibrazioni insostenibili - Ma non era questa la terra che avevo immaginato!- pensa la spaesata farfalla. Cerca di spostare le zampette appesantite dal terriccio, si aiuta con le ali e finalmente riesce a compiere i primi passi. Mai pentita, ma con una serie infinita di domande, si appresta a terminare la giornata tanto lunga ed intensa… poi si appisola sotto una foglia ingiallita e sogna, sogna il suo cielo azzurro, i fiori variopinti…, quando una goccia d’acqua, pesante come cemento, si abbatte sul suo giaciglio, dopo infinite gocce la sua foglia diviene una zattera che, sbattuta dal vento, la sospinge di qua e di là. Le sue ali, che un tempo la conducevano ovunque desiderasse, sono zavorra ed ella cerca in tutti i modi di liberarsene, ma poi sfinita, si lascia andare ad sonno inquieto… I primi raggi di sole la risvegliano, le ali sono asciutte, sbiadite, ma leggere, come una volta. La farfalla ascolta gli uccelli che cinguettano a prima mattina e fa la scorta di quel dolce canto. Del polline misto a fango giace sul terreno ed affamata lo raccoglie. Potrebbe, ora o mai più, tornare a librarsi nell’aria, ma la terra… la terra, ha un richiamo senza pari, il suo profumo, i suoi rivoli trasparenti, i suoi eccessi, la fanno sentire viva… ed è già ora del tramonto. Le ore passano e la farfalla ha terminato il suo percorso. -Non potrò mai possederla tutta la vita, perché è già ora di salutarla!...ma allora, la vera vita, dov’è?- Proprio un attimo prima di donare alla terra il suo ultimo respiro, comprende, ormai serena, che la vera vita è nel suo cuore ed è lì che resterà per sempre.

sabato 25 maggio 2013

L’uomo senza pelle

Un giorno di primavera un uomo si alza con un senso di freschezza. Ben lieto si appresta ad uscire per condividere con gli altri la sua leggerezza. Gioioso saluta quanti conosce, ma con sua meraviglia nessuno gli risponde. Qualcuno lo spintona, qualcun altro gli pesta i piedi e altri ancora gli passano attraverso. Quei pochi che lo riconoscono gli chiedono o addirittura pretendono soldi, cura, asilo. Triste ritorna a casa e si guarda allo specchio per vedere se qualcosa sia mutato nel suo aspetto, ma non trova la sua immagine riflessa. Così comprende di non avere la pelle, motivo per cui nessuno lo vede, e, per ironia del destino, gli altri possono sentire i suoi pensieri. Purtroppo nessuno crede nell'autenticità dei suoi sentimenti seppur visibili a tutti e questo spinge loro ad approfittarsi di lui. Disperato per la situazione senza via d'uscita, si rivolge al suo Dio: "Come hai potuto farmi questo!". E il Signore gli risponde:"Me lo hai chiesto tu quando ti sei lamentato dei tuoi limiti!". Mesto l'uomo rimpiange tutte le volte che non ha potuto, almeno aveva la sua pelle! Ma il Signore è misericordioso e da allora ogni giorno gli dona una cellula di tessuto, anzi, nella sua generosità, ha fatto di più: ha posto un buchino fra una cellula e l'altra perché potesse traspirare la sua anima....e l'uomo gli è riconoscete perché quanti lo amano ora possono vederlo.

lunedì 13 maggio 2013

L'ape vagabonda

Si posa l’ape sul lembo di un petalo, si appresta a succhiare il profumato polline e, a un passo dall’appetitoso bottino, sosta sul peso del corpo stanco. Si raggomitola in cerca di conforto e piano piano si abbandona. Una goccia di rugiada scivola verso il profumato petalo e l’ape vi scorge racchiuso il paesaggio. Si abbevera e si rinfresca, raccoglie le forze e torna al sospirato polline. Succhia e si rinvigorisce per la beltà del suo pasto, "Quanto è grande il Signore che non dimentica un misero insetto quale io sono, quanto è crudele l’umanità che dimentica intere popolazioni, senza cibo, senza tetto!”, sospira l’operoso insetto e riprende il suo ronzante volo. Osserva le luci della notte che ora si spengono e ora si accendono nelle ordinate case, osserva il mare che si infrange ritmicamente sulla battigia, osserva il sole spuntare timidamente oltre l’orizzonte. Che meraviglia, la vita! Eppure una melanconia la sfiora, come un soffio di vento, ella non sa spiegarsi perchè, non le manca nulla, il mondo è sotto di lei e le offre il giorno con i suoi splendidi colori e la notte nostalgica e misteriosa....ma, nella foga di scoprire il mondo ha lasciato lo sciame ed ora è sola.

giovedì 25 aprile 2013

Il guerriero 2

Il guerriero ritorna a casa, dopo l’estenuante battaglia e si osserva: il suo corpo è lacerato e ferito, le unghie dei piedi sono spezzate e livide, non riesce a distendere le dita della mano, la pelle si è cicatrizzata male e ha creato dei cordoni che gli hanno fatto perdere la sensibilità. Il suo viso è smagrito e irreversibilmente piagato dalla disidratazione patita. Le gambe sono forti e robuste, come le braccia. Egli ha acquisito le fattezze di uomo, non è più il giovane soldato in cerca in se stesso. Ora è un uomo che ha perso se stesso. Una lacrima silente gli scende sulla guancia e gli bagna le gote, e poi un’altra lacrima e una lacrima ancora...Cosa gli è rimasto di tanto ardore? Solo e irriconoscibile, si ferma a riflettere. Ricorda le ore passate nel fango, le cadute,gli orrori, il dolore, le bassezze compiute dall’uomo a causa della sua fragilità. Ripensa al momento in cui ha dovuto implorare il suo nemico, le umiliazioni, la fame, la sete...di giustizia. Una morsa allo stomaco gli porta un conato, desidera esprimere il suo risentimento, gridarlo al mondo intero, ma non vuole precipitare, dopo tanta fatica, nelle braccia dell’odio. Così, ancora una volta cerca dentro di sé, tra le macerie del dolore, quella spinta che viene dal cuore e che lo ha sempre risollevato, una ragione che non sa spiegarsi, che lo ha mosso ad andare avanti con gioia ed entusiasmo nonostante tutto, quel sentimento che ha il volto di Colui che ingiustamente trucidato dal mondo, risorge, ogni giorno nel cuore dell’uomo. Così il soldato comincia ad amare quel dolore, quelle piaghe che segnano il suo corpo, perché oltre il vuoto del mondo che lo ha rinnegato, ha scoperto l’Amore.

venerdì 29 marzo 2013

La principessa e il rospo

Un rospo incontra una meravigliosa principessa e con il suo canto insistente la persuade a baciarlo. D’improvviso il suo manto ruvido e verdastro diviene azzurro cielo, i suoi occhi rossi meravigliosi smeraldi e la sua mole goffa, una possente figura. La principaessa porta il rospo nel suo castello, tutti osservano il suo sguardo innamorato, ma esclamano inorriditi quando vedono con chi ella si accompagna. Il viscido rospo lascia la scia della sua bava, mentre borioso attraversa l’ingresso del meraviglioso castello. Pretende gli inchini della corte, si riveste di oro e diamanti e impartisce ordini all’intero regno. Un dì la principessa esce dal castello e osserva orrori, violenza e povertà. S’interroga su cosa stesse accadendo e ricorda le passeggiate con suo padre, il re, quando attraversava il fiorente regno e tutto il popolo accalmava -“Viva il re!”- Corre al castello e elenca al suo amato compagno tutto l’orrore che ha incontrato; il principe-rospo l’ascolta, la osserva, lascia che smetta di parlare, poi chiama le guardie e ordina loro di rinchiuderla nelle segrete -La Prinicpessa è uscita di senno, mi spiace, ma fortunatamente ci sono io, il vostro re! -
La principessa non cessa mai di piangere nelle prigione dove è stata posta in isolamento, e tutti i medici che la osservano fra le grate confermano -Ahimè la principessa è divenuta matta, che ne sarà di noi?!-
Il Regno cade nello sconforto, ma piano piano si abitua ai soprusi del prepotente re, gli dona venerazione e rispetto, nessuno osa ribellarsi, nessuno ricorda i tempi della gioia.....finché, un dì, un angelo entra nelle segrete e porta la principessa sul lago, dove era cominciato l’incantesimo. La principessa osserva le candide acque del lago e chiede loro di rompere l'incantesimo perché il re-rospo riprenda le sue originarie sembianze.
Così si porta al castello, preleva il gracchiante rospo e lo libera nella laguna, la sua dimora. La corte, liberata e illuminata, la riconosce e tutti insieme, nobili e servitù si adoperano affinché la reggia torni al suo antico splendore. La principessa vende tutti i sui beni e distribuisce il ricavato all'amato popolo, che piano piano rinasce e ricomincia a sperare.
Il rospo non ha mai smesso di seguire la principessa, nella speranza di recuperare il suo trono, ma ella non può vederlo per via di un nuovo incantesimo che l’angelo ha voluto donarle.

lunedì 18 marzo 2013

Il leone

Ruggisce il leone tronfio, alza la zampa per colpire la preda, ma questa riesce a sfuggirgli. S'adira il leone e s'imbatte nell'inseguimento. La gazzella lieve salta il cespuglio e fugge. Il leone resta inebetito, ma che fine ha fatto la prelibata cena?... e resta in silenzio, umiliato dalla sconfitta. Cade in un sonno profondo, ma si sveglia all'improvviso, assalito dai morsi della fame. Brancola di notte, in cerca di cibo, per sedare il dolore che gli contorce il ventre e finisce con la zampa sul corpo inerme di una carogna. Il suo sguardo si accende e riprende l'antico vigore. Non azzanna la preda, ma si acquatta sul terreno, come in una parata di caccia e avanza lentamente, in direzione del maleodorante corpo. A breve distanza dall'ambita preda, manda un feroce ruggito che risuona nella dormiente foresta e risveglia ammirati i suoi compagni di branco. Spintona col muso la preda che perde le sue fattezze e mostra le putride viscere. In preda al delirio, la bestia, l'addenta e la strattona, fino a disperdere sul suolo i suoi brandelli. Scava una fossa e vi ripone quello che resta della sfortunata carcassa. Sfinito si appisola nei pressi del suo bottino e attende il giorno per potersene cibare. L'aurora illumina e riscalda la lussureggiante savana e scuote con il suo calore il re della foresta. Questi apre i grandi occhi e impaziente si dirige verso la preziosa buca, ma non vi trova che un mucchio di ossa e qualche brandello di carne avariata. Disgustato si appresta a ingoiare quanto c'è di commestibile... Continua a vagare ramingo il leone nella foresta, senza più cacciare, finché le zampe non cessano di accompagnarlo, e lui, disteso al suolo, aspetta la fine della sua ingloriosa storia.

mercoledì 13 marzo 2013

La luna nera

Un giorno la luna, stanca di aspettare il tramonto del sole per splendere nel cielo, decide di mostrarsi al giorno nelle sue sembianze, ma il troppo calore la brucia prima in superficie e poi in profondità e, giorno dopo giorno diviene sempre più nera. Invano le stelle le si affollano intorno per donarle chiarore, ella non riflette più la luce! Mesta e rabbiosa la luna, non riesce ad orientarsi, comincia a pensare di non aver mai accolto i raggi benefici del sole,...forse brillava di luce propria, ora è malata ma presto riprenderà a splendere! Passano gli anni, ed ella comincia a perdere il suo spessore, la polvere riarsa che l’avvolge si disperde nell’universo ed ella è divenuta irriconoscibile! Così si apposta nei pressi del sole, sperando di rubargli briciole di luce, ma comprende di non avere speranza: la sua superficie, diradata e malconcia, ora non può che risentire del calore del sole che brilla in lontananza. Oltraggiata, la luna, grida al sole - Ma come hai potuto dimenticarti di me e privare la notte del mio bagliore!- E il sole, infastidito delle urla disarmoniche, si volta e le mostra la sua nuova compagna, la Luna Nuova, quella nata dall’unico granello di polvere iridescente, sopravvissuto alla boria della luna.

martedì 12 marzo 2013

Il viandante

In un giorno tiepido e grigio d'inverno, un raggio di sole si fa spazio fra le scure nubi e penetra nel cuore pulsante di un viandante: lo scalda, l’inonda, l’illumina. Il viandante stupito si lascia assorbire dall’abbondante calore; sente i piedi e le mani irrorarsi, una gioia vera e intensa lo avvolge, come soffice bambagia. Non siamo figli di nessuno possiamo essere in sintonia con l’universo intero! D’un tratto avverte uno calore al petto, come dell’acqua calda che gli inumidisce le vesti, porta la mano al costato e s’imbratta di sangue. Quel raggio è entrato così in profondità da oltrepassare la cute, i muscoli, il costato, fino a irrompere nel cuore. Il viandante sudicio e indebolito sente di dover arrivare a casa, non può indugiare se non vuole restare sulla strada privo di sensi. Preme le mani sul petto, cercando di contenere il liquido abbondante, corre e si trascina come può, sale le scale e si appoggia alla maniglia della porta fino ad aprila. Siede sulla poltrona e abbassa lo sguardo sul suo ventre. Per sua meraviglia è lindo e ... candido. Si apre le vesti frettoloso, ma non c’è ferita alcuna. Si volta e un insetto gli si posa sulla spalla, lascia che gli salga sul dito, lo fissa e sorride sereno...

sabato 2 marzo 2013

Il Guerriero

Corre il guerriero nella sua fulgida armatura, sfida i venti, i mari, le alture, con il capo alto accarezza il cielo, con le sue grandi mani strattona le briglie dell'amato cavallo. Procede il guerriero alla ricerca del nemico, si batte coraggioso per difendere gli ultimi, gli umiliati, gli affamati, gli abusati. E’ felice il guerriero, la sua mercè è la rinascita di coloro che avevano perso la speranza, il sorriso sul volto degli afflitti, le gote rosee degli affamati, gli occhi limpidi degli innocenti. Cade il guerriero in una crepa e non riesce ad alzarsi, il suo cavallo lo spintona col muso, nitrisce e s’impenna sulle zampe posteriori, non può vedere il suo cavaliere inerme e disteso al suolo, ma poi si allontana, in preda allo sconforto. Il guerriero guarda il cielo e gli occhi si riempiono dell’acqua piovana, il dolore lo paralizza, ma di lì non passa nessuno. Dove sono i sorrisi, gli abbracci e le voci di chi lo conosceva. E’ solo, solo come non lo è stato mai, così poggia la testa sul suolo bagnato, chiude gli occhi e si abbandona, chiedendo alla morte di venirlo a prendere. Neanche la morte si ricorda di lui, è ancora lì, affamato, dolente...bisognoso, quando nell’ombra della notte scorge una sagoma. Questi gli si avvicina, con sguardo sornione -Finalmente hai pagato il fio della tua sfrontatezza!- Il guerriero riconosce il nemico e così, lo implora -Salvami!- E quegli lo guarda e ride -Dove sono i tuoi amici, dov’è la tua arroganza, dove sono le tue infinite risorse, quelle che tanto decantavi?- - Ti prego SALVAMI!-. Così il nemico gli porge una corda, il guerriero gli si avvinghia con tutte le forze, e esce fuori dalla buca. Scappa soddisfatto ed ilare il suo nemico e lui rimane lì, attonito. Cosa mai gli aveva chiesto il destino, meglio sarebbe stato morire, ma neanche la morte gli è stata amica. Il guerriero allora comprende. Non c’è nulla in questo mondo che ci appartenga veramente, non c’è ricompensa per aver cercato ed amato il bene, fino al punto di mettere a repentaglio la propria vita. La verità è nella solitutdine, nella povertà, nell’essere nudi ed umili dinanzi al tutto, che è solo lui, il Creatore.